Essere padre, essere figlio

La cosa più difficile, forse, nel fare bene il mestiere di padre, sta proprio nell’ accogliere, fare spazio, alla figura paterna dentro di sé e nella propria vita. E quindi, innanzitutto, nell’ accettarsi come figli, tranquillamente grati di ciò che dai nostri padri abbiamo ricevuto. Pronti a perdonare ciò che non hanno saputo o potuto darci.

(C. Risè, 2009, Il mestiere di Padre)

La certezza di divenire genitori spinge inevitabilmente la coppia verso il futuro, ma allo stesso tempo, la riporta nei ricordi legati al passato. Per quanto riguarda l’uomo, in particolare, questo continuo avanzare e indietreggiare attraverso il tempo ha un suo risultato psicologico molto importante: rivisitare la propria infanzia, comprendere il proprio sviluppo e portare a termine cose lasciate in sospeso con la propria famiglia: un percorso necessario per preparare il padre verso il suo nuovo ruolo.

C’è infatti il passaggio dalla condizione di figlio a quella di padre, che comporta l’affrontarsi/scontrarsi con i propri genitori sullo stesso campo, quello della genitorialità. L’interpretazione psicodinamica della paternità vede il neo-padre nuovamente in una posizione triangolare, come era nel rapporto con i propri genitori, posizione nella quale gli altri due poli, questa volta, sono occupati dalla moglie e dal bambino.

Il padre, attraverso l’arrivo del figlio, ri-sperimenta la propria nascita e infanzia, normali regressioni che deve operare in vista di una reale “comprensione” del figlio e dei suoi bisogni.

Nell’uomo si verifica un doppio processo di identificazione: da una parte egli si identifica con il bambino, rivivendo in lui le proprie esperienze dell’infanzia, dall’altro, diventando padre del bambino, prende il posto di suo padre, diventare padre significa anche diventare il proprio padre, occuparne il ruolo.

Inoltre, avere la possibilità di crescere un figlio offre l’occasione di fare meglio del proprio padre, una testimonianza come quella di seguito può risultare molto significativa per comprendere quanto detto e in generale la paternità di oggi: “Se devo valutare l’atteggiamento di mio padre nei miei riguardi nella primissima età, direi che è pari a zero, anche perché la divisione tra ruoli maschili e femminili era totale. Mio padre è un grande assente io sto cercando di essere un grande presente.Ricordo delle sue prese di posizioni assurde, io oggi sono uno che cerca di ragionare fin troppo. Mi accorgo che sto cercando di creare un tipo di rapporto che è quasi all’opposto di quello che ho avuto io. Io sono lo controfigura di mia madre che invece c’era e c’è anche oggi. Mia madre mi ha insegnato un patrimonio mio padre era un fallito. Fare figli è stata come un’opportunità ricercata per pareggiare un conto con la vita, significava mettere in campo un modo nuovo di essere padre diverso da quello che abbiamo ricevuto” (Roberto, 55 anni, www.lastoriasiamonoi.rai.it).

Il confronto con questo tipo di padri, come nel caso di Roberto, più vicini al patriarcato ha avuto un peso molto forte nella vita di queste persone e nel loro modo di ripensare in qualche modo la paternità. “Qui c’è un’apparente discontinuità, ovvero la presa di distanza dai padri, ma anche una continuità perché mi sembra che riconfermi questo tentativo tipicamente maschile di autodeterminarsi senza prendere coscienza dell’importanza delle relazioni” (Deriu, 2006).

La difficoltà nelle relazioni dei padri della postmodernità con la precedente generazione di padri nasce dal repentino e importante cambiamento a cui abbiamo assistito negli ultimi trenta anni, sono molti infatti ad essere concordi sul fatto che in questi decenni si è assistita ad una rivoluzione così forte per la figura paterna come non era successo in secoli precedenti.

La difficoltà dell’uomo moderno nel suo essere padre infatti è data dall’assenza di un modello paterno valido. Questo perchè i padri delle precedenti generazioni si sono comportati, ovviamente, secondo gli schemi e le abitudini del loro tempo. Come si è visto con l’esempio, gli uomini oggi sanno che non vogliono seguire quel modello o lo sentono poco attuabile, si impegnano al contrario in rapporto padre-figlio alimentato dall’energia dell’uomo che si sente, riconosce e vuole essere padre come prima non era successo.

Il problema che nasce quindi è dovuto ad un gap di modelli a cui attingere, cioè l’idea che non c’è più un modello di padre che si trasmette di generazione in generazione, un modello che quindi i nuovi padri assumono, ereditano, “indossano” ma c’è qualcosa di diverso.

“L’impressione generale è che in gran parte la figura paterna e anche il tema di un’eventuale autorevolezza paterna non è più qualcosa che viene recepito da una struttura sociale o che viene recepito da modelli precostituiti, ma è qualcosa che si gioca, che emerge che si può costruire solo nelle relazioni” (Deriu, 2006).

Il rischio maggiore è che l’uomo possa ritenere di costruire una diade padre-figlio che si aggiunga, o addirittura si sostituisca, alla relazione madre-bambino. “Invece deve restare chiaro che l’obiettivo della partecipazione dell’uomo alla gravidanza (ma non solo della gravidanza) è quello di favorire la costruzione della triade madre-padre-bambino, poichè solo questo triangolo costituisce il modello familiare in grado di accogliere i reali bisogni del bambino e consentirgli uno sviluppo armonioso” (Giustardi, Grenci, 2000).

Da chi imparano quindi gli uomini ad essere padri oggi?

Si può affermare che i papà di oggi, in qualche modo, imparano a fare i padri in maniera molto più esplicita che in passato, confrontandosi con tre tipi di relazione: la prima, come si è visto, è una relazione che riguarda il rapporto tra generazioni di padri, cioè il rapporto del nuovo padre con il padre che ha avuto e con l’esperienza che ha avuto come figlio.

La seconda è il rapporto con l’altro sesso, sia nella dimensione della relazione con la partner sia nella dimensione del rapporto con la madre, c’è un riconoscimento dell’autorevolezza femminile, dell’importanza e della competenza relazionale nella cura e nella capacità di ascolto e di empatia che molti padri, riconoscono e che in parte cercano di far propri.

La terza è il rapporto con i propri figli, non c’è più una gerarchia rigida (la dimensione relazionale fra padre e i figlio, non è più verticale ma orizzontale), c’è un modello molto più complesso in cui anche i padri imparano qualcosa dai figli. In tutti i tre i casi, sono sfide relazionali, il farsi padre è qualcosa che emerge in fieri, emerge nelle relazioni, e di questo molti padri iniziano ad essere consapevoli (Deriu, 2006).

Il rapporto con il proprio genitore è quindi certamente soggetto ad una rilettura della grammatica delle relazioni: la fase di transizione dall’essere figlio al divenire padre potrebbe ad esempio essere motivo di timore, rappresentare una sorta di sfida o essere invece illuminante soprattutto per un uomo che ha vissuto profonde divergenze fra sé stesso e il proprio padre.

Ci sono molti neo papà che vanno incontro a un rinnovato desiderio di riscoprire il proprio padre, altri invece, ancora rinchiusi in vecchi risentimenti, divengono critici nei confronti dei loro genitori soprattutto per quanto riguarda problemi legati alla lontananza, alla scarsa sensibilità e all’apparente mancanza di affetto.

Ad affiorare non solo sentimenti negativi, ma giungono in superficie anche ricordi di momenti piacevoli che al termine della gravidanza assieme ad una ristrutturazione generale dell’ identità e delle relazioni, portano spesso il figlio ad un nuovo tipo di rapporto e contatto con il proprio genitore, diventando più disponibile a perdonarne gli errori (Deriu, 2005).

 

Articolo tratto da www.mentesociale.it

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